Come possiamo spingere le persone a riconoscere i propri schemi, permettendo loro di crescere, evolvere, aprire la mente? Attraverso quali speech, quali esperienze, quali messaggi di comunicazione vogliamo stimolare la loro presa di consapevolezza degli schemi?
Qualunque creatura esistente sul pianeta Terra è programmata per fare due cose:
Sopravvivere
Risparmiare energie
Per questo motivo dal momento esatto in cui veniamo al mondo (e probabilmente anche prima), iniziamo in modo conscio e inconscio ad apprendere come sopravvivere al meglio nel contesto in cui ci troviamo, dove per “meglio” si intende un modo di sopravvivere che permetta di risparmiare al massimo le energie procurandosi magari, quando possibile, un po’ di piacere.
E’ seguendo questo istinto, necessario per il mantenimento di ciò che gli esseri viventi mettono in cima alle loro priorità, e cioè la vita, che il nostro cervello inizia automaticamente a creare schemi. Ogni creatura beneficia di questa capacità e gli esseri umani, tra tutte le specie esistenti, creano gli schemi più ampi e complessi che si abbia mai avuto modo di osservare nell’universo.
Ci risulta facile vedere gli schemi negli animali e nelle civiltà distanti nel tempo o nello spazio da noi: la costruzione di lunghe file per il trasporto del cibo da parte delle formiche, i sistemi di corteggiamento degli uccelli che sfociano a volte in vere e proprie coreografie danzanti, i meccanismi sociali che dominano tribù indigene dell’Africa, la struttura gerarchica che governava le popolazioni europee nel medioevo.
Identificare gli schemi diventa tanto più facile quanto più si è distanti e quanto meno si è emotivamente coinvolti nelle dinamiche che regolano lo schema: per questo motivo l’essere umano, che della sua abilità di riconoscere i pattern ha fatto la principale arma nella gara per l’evoluzione (basti pensare alla capacità di riconoscere nel circolare mutamento delle stelle l’alternarsi delle stagioni), ha un’estrema difficoltà a identificare gli schemi quando egli si trova al suo interno.
Così gli schemi, da strumenti di cui siamo padroni, diventano padroni di noi e ci rendono strumento. Fin da piccoli iniziamo a usarli e solo con un enorme sforzo di astrazione siamo in grado di sbarazzarcene quando non ci servono più, causando a volte terremoti nelle nostre vite che portano al repentino mutamento di relazioni, abitudini, stili di vita e disorientamento. Ognuno di noi ha i suoi: creare schemi è ciò che facciamo costantemente per progredire come specie e come individui. Dallo schema che regola le nostre credenze religiose a quello che determina la nostra piramide di affetti, da quello che ci dice chi dovremmo scegliere come partner a quello che ci indirizza verso il lavoro dei nostri sogni (o presunti tali), fino alla strada che facciamo ogni giorno per andare in ufficio per abitudine.
Gli schemi, quando sfuggono al nostro controllo, diventano i limiti che noi stessi mettiamo alla nostra capacità di lasciarci contaminare da idee e esperienze, sfide, fatiche, rapporti e, in definitiva, sono il contenitore che determina il confine entro il quale possiamo crescere. Per questo motivo si dice che per realizzare grandi progetti si debba “uscire dalla comfort-zone”. La comfort zone sono i nostri schemi, quelli che ormai dominiamo e siamo in grado di usare per semplificarci la vita, ma anche quelli che rendono impossibile pensare una vita e una società diversa. Non a caso tutte le grandi persone che fanno parte dell’immaginario comune come “individuo che ha cambiato il mondo” hanno seguito un percorso ben preciso: hanno cambiato gli schemi.
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